I due discepoli di Emmaus (III domenica di Pasqua)
Da "Il Vangelo dell'amore" (Youcanprint, 2015) di p.Stefano Liberti
“non ardeva il nostro cuore?” (Lc 24,13-35)
Luca presenta, in “esclusiva”, una apparizione del
Risorto a due discepoli che sono in cammino da Gerusalemme al vicino villaggio
di Emmaus. É un episodio molto famoso, che offre notevoli spunti di
riflessione.
Più che i due discepoli (uno di nome Cleopa, l’altro
senza nome e dunque identificabile con chiunque di noi), protagonista
dell’episodio è il Risorto, il suo modo di agire e di farsi riconoscere: Egli
cammina con noi, condivide le nostre fatiche e delusioni, si fa a noi prossimo
nel cammino quotidiano della vita. Non si allontana da noi neanche se noi ci
allontaniamo da lui e non lo riconosciamo come nostro compagno di vita.
Siamo nello stesso giorno della scoperta del
sepolcro vuoto e dell’annuncio, non creduto, delle donne di aver incontrato due
“angeli” che comunicano loro l’evento della Resurrezione. I due sono in
cammino, forse già in fuga, da Gerusalemme, “col volto triste” (v.17), impegnati a conversare “tra loro di tutto quello che è accaduto”
(v.14). “Gesù in persona si avvicinò e
camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo”
(vv.15-16). É la condizione comune dei discepoli, incapaci di riconoscerlo sul
momento.
Gesù si fa compagno di viaggio, non ci cerca nelle
Chiese o nei Santuari, ma nella quotidianità della nostra vita interpellandoci
su quelli che sono i motivi di angoscia che ci portiamo dentro. Con tutti
si mette in
dialogo – il che significa innanzitutto ascolto dell’altro - e si confronta con
l’interlocutore. Primo effetto dell’incontro con lui è l’interrogarsi su cosa
si cerca, su cosa si vuole, su cosa brucia nel cuore. Basta ricordare alcune
domande che Gesù rivolge a quanti incontra: “Che cosa cercate?” (Gv 1,38), “Donna,
chi cerchi?” (Gv 20,15); “Che
discorsi state facendo?” (Lc 24,17). A partire da domande come queste, nel
dialogo avviene un vero incontro, un’esperienza condivisa, un parlare e
rispondersi reciprocamente[1].
“Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele” (v.21), invece... Secondo
il loro modo di ragionare il Messia non poteva morire sconfitto, il Messia
doveva trionfare sui nemici. Non hanno capito e lui riprende a spiegare. E
interpretando le Scritture, mostra che il Cristo doveva patire “per entrare nella sua gloria” (v.26). Fa
comprendere quella che è da sempre l'essenza del cristianesimo: la Croce non è
un incidente, ma la pienezza dell'amore.
Arrivati in prossimità di Emmaus,
il viandante li saluta, ma sono loro a chiedergli di rimanere ancora: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno
è ormai al tramonto” (v.29). Non l’hanno riconosciuto, ma hanno gustato la
sua presenza, anche i suoi rimproveri (“Stolti
e lenti di cuore”, v.25) e temono di ripiombare nell’oscurità di prima, ora
rischiarata dalle sue parole.
Gesù non impone la sua presenza,
ma – invitato a rimanere – non si fa pregare e condivide la cena con loro. Qui
avviene lo svelamento della sua identità e la scomparsa della sua presenza
fisica: nello spezzare il pane, gesto tipicamente eucaristico, “lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista”
(v.31). Non significa che Gesù non ci sia più, ma che non è più materialmente
visibile: la sua è ora una presenza spirituale che si può cogliere
interiormente, con i sensi dati dallo Spirito e dalla fede, a volte anche con
le emozioni e i sentimenti (il cuore che arde, la gioia che ci spinge a
condividere quanto sperimentiamo anche con gli altri).
É invisibile perché, propriamente
parlando non è più con noi, ma in noi. La parola che l’ha messa nel cuore e il
pane nella vita. Chi lo mangia vive di lui come lui del Padre che lo ha mandato[2].
É chiaro il messaggio: possiamo
sperimentare la presenza del Signore Risorto all’interno della liturgia
eucaristica. Lì riviviamo quanto hanno vissuto i due: l’ascolto della sua
Parola, la spiegazione e attualizzazione (questo dovrebbe essere il contenuto
dell’omelia), la liturgia eucaristica che culmina nell’elevazione del pane
spezzato e trasformato nel suo Corpo. Gli occhi fisici possono lasciare il
posto alla vista interiore, quella del cuore, che dovrebbe farci dire anche a
noi: “Non ardeva forse in noi il nostro
cuore mentre egli conversava con noi lungo la via?” (v.32). Il palpitare
del cuore, il calore che ne promana, sono i segni più evidenti dell’incontro
personale fatto col Signore. Egli può trasformare i nostri cuori e renderli da
lenti e intristiti, capaci di cogliere questa presenza e pieni di gioia.
“Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme”(v.33):
anche se è notte, c’è una nuova luce nel loro cuore, e questa luce, questo
calore deve essere condiviso. C’è una lieta notizia da portare: “Davvero il Signore è risorto!” (v.34) e
la sua presenza possiamo sperimentarla tutti!